Cenni Storici di Augusta

Cenni Storici di Augusta
Rappresentazione di Augusta. (disegno di T. Spannocchi eseguito nel 1578)
Stando agli studi più recenti, la fondazione di Augusta ad opera di Federico II si colloca tra il 1232 e il 1239; in quest'ultima data, il castello, da lui ordinato per esigenze strategiche, politiche ed economiche, era già ultimato, almeno nell'essenziale. Il periodo svevo ebbe breve durata, concludendosi nel 1269 con l'avvento degli angioini, autori del feroce eccidio dei difensori di Augusta, rimasti fedeli al casato dell'imperatore.Gli invasori vi rimasero fino al 1282, per venirvi a loro volta cacciati dalla rivolta del "Vespro" che avvampò in tutta la Sicilia e vi segnò l'avvento della casa d'Aragona.Da allora alla metà del '500, Augusta fu quasi ininterottamente sotto regime feudale, subendo le conseguenze delle lotte di potere da esso derivanti (ed a cui si debbono le devastazioni del 1360) o del suo insufficiente apparato difensivo contro le scorrerie saracene; queste, in crescendo dal primo '500, culminavano nel 1551 con un attacco distrutivo alla città, reiterato nel successivo biennio. Dinanzi a tale stato di cose, Filippo II di Spagna, re di Sicilia, ordinava la definitiva restituzione di Auguasta al regio demanio, affinchè se ne potesse fare una temibile piazzaforte a difesa dell'intera cristianità; era il 1567. La sottrazione al potere feudale ed il contemporaneo avvio dei lavori di fortificazione, segnarono per Augusta l'inizio della sua più florida stagione. Fu allora che l'abitato prese ad espandeersi verso terravecchia, nobilitato da una mezza dozzina di conventi, segno indubbio d'accresciuta importanza. L'economia prosperava grazie anche agli introiti della "salina grande del pantano", donata alla città da Filippo II nel 1590, per ricompensarla della passata indigenza. Inoltre, il sovrano Ordine di Malta otteneva nel 1649 la concessione ad impiantare in città una base permamente - "la Ricetta" - per assicurare le provviste alle proprie galere; base destinata ad ampliarsi nel tempo e quindi ad agire come elemento propulsore per la promozione del porto.Tutto ciò trova puntuale riscontro nell'aumento demografico della città, passato dalle 1376 anime del 1568 alle 6173 del 1601.Il ritmo del potenziamento militare in questo periodo è incalzante: nel 1567 si edificavano i forti Garçia e Vittoria per volere del vicerè di Toledo (che ad essi dà il proprio nome e quello della consorte); nel 1570 è la volta del forte d'Avalos, voluto dall'omonimo vicerè; tra il 1608 ed il 1645 si erigono (due a due, iniziando da tramontana) i bastioni a guardia della prima cinta difensiva del castello (Vigliena, S. bartolomeo, S. Filippo e S. Giacomo, ora occupato dal Museo); intorno al 1671 si procede a tagliare l'istmo che congiunge la penisola di Augusta alla terraferma, per poi installarvi i ponti levatoi; infine, entro il 1682 si completa la seconda cinta bastionata, provvista di rivellini, opere a corno ed altre pertinenze, di cui la Porta Spagnola è ancora oggi la testimonianza più incisiva. Inoltre, l'originaria torre della "Bruca" (poi Brucoli), sorta intorno al 1465 per difendervi l'antico caricatore di grano, s'arricchisce anch'essa d'una cinta nel '500, dando così vita ad un vero seppur piccolo maniero, ulteriormente rafforzato nel primo '600 da una torre poligonale e da una seconda cinta più bassa.Ma ancor prima che la piazzaforte avesse raggiunto l'assetto difensivo definitivo, la validità dell'impianto era stata messa alla prova nel 1585 e nel 1594, facendovi registrare il fallimento di altri due assalti portati dai saraceni alla città.Cessato il pericolo su questo versante, non sarebbero tuttavia mancate nuove occasioni per coinvolgere Augusta in avvenimenti bellici di rilievo. Infatti, nel 1675 la contesa per il possesso della Sicilia tra Spagna e Francia induceva quest'ultima ad armare una flotta d'invasione che il 15 Agosto di detto anno si portava nelle acque della piazzaforte e, avutane rapidamente ragione, sbarcava a Terravecchia le proprie soldatesche impadronendosi della città. La reazione spagnola si concretizzò l'anno successivo dando luogo sempre in queste acque a quella "battaglia di Agosta" (22.4.1676) che è rimasta memorabile nella storia della marina velica; si affrontarono, uscendone entrambe malconce, la squadra francese dell'ammiraglio Duquesne e quella ispano-olandese dell'ammiraglio De Ruyter, che vi perse la vita e che non riuscì a riprendere Augusta. I francesi abbandonarono comunque la città due anni dopo, nel 1678, senza risparmiarvi varie distruzioni che , tra l'altro, coinvolsero la bellissima lanterna eretta sul forte D'Avalos e definita "uno dei pessi rari d'talia".Nuove e ben più gravi distruzioni furono però quelle causate qui, come in tutta la Sicilia orientale, dall'immane terremoto del 1693 che mietè 3000 vittime e, provocando lo scoppio della polveriera nel castello, vi fece rovinare l'ala di levante. La sua ricostruzione s'inserisce nel novero di altri lavori che di lì a poco (1702) avrebbero compreso una linea fortificata lungo le pendici di ponente dell'isola e l'ampliamento della "Ricetta" di Malta (1708 - 1739) di cui ancora oggi sopravvivono le vestigia.Sebbene il trattato di Utrecht (1713) avesse assegnato la Sicilia a Vittorio Amedeo II di Savoia, le pretese della Spagna sull'isola non cessavano; infatti, nel 1718 un armata navale iberica mirava ad impadronirsi di Palermo (riuscendovi) e di Augusta; ma qui, una squadra britannica accorsa in aiuto dei Savoia frustrò il tentativo, dando origine alla battaglia che, iniziatasi dinanzi a Capo S. Panagia, si concludeva a Capo Passero (11.9.1718).Le vicende successive che ad augusta si materializarono in un breve periodo savoiardo (1713 - 1717), nel quarto ed ultimo periodo spagnolo (1717 - 1720) ed in un altrettanto breve periodo austriaco (1720 - 1735) sfociarono nell'avvento dei Borboni, destinato a protrarsi fino al 1860.Anche se la prima metà del '700 vedeva per la prima volta la popolazione di Augusta al di sopra - seppur di poco - dei 10.000 abitanti, a conferma d'una situazione ancora accettabile, non vi mancavano tuttavia i segni d'un declino progressivo che avrebbe caratterizzato la vita della città ben oltre il secolo successivo. Un colpo alla sua economia fu portato dalla soppressione (1801) della "Ricetta" di Malta, compensata solo in esigua misura dalla permanenza in loco d'un contingente britannico, dislocato qui (come a malta) nel 1806 per parare eventuali mosse di Napoleone contro la Sicilia. E' di questo periodo la torre di Magnisi, edificata per difendere a Sud la rada di Augusta. Un ulteriore elemento negativo - cui s'aggiunse il terremoto del 1848 - era costituito dalla decandenza e dall' obsolescenza degli impianto fortificatorio seicentesco, ormai inadeguato di seguito alle più moderne esigenze belliche e comunque reso vieppiù inutile alla luce della nuova situazione politico-militare in questo settore."L'antico regime" si concluse qui il 14 Ottobre 1860, con la partenza dell'ultimo presidio Borbonico, mentre il Tricolore d'Italia veniva issato sulla torre più alta del castello.

mercoledì 21 marzo 2007

La Storia del Milite Ignoto

Monumento ai Caduti della Città di Augusta

..Trasporto delle Salme del Milite Ignoto - Udine 13 ottobre 1921

Una delle Salme portata a spalla

... Il Milite Ignoto nella chiesa dei Gesuiti a Gorizia


Altare della Patria - tumulazione del Milite Ignoto, 4 novembre 1921


L'esigenza di avere, quale punto di riferimento per tutte le generazioni future, un simbolo di virtù e gloria, era particolarmente sentito al termine della Prima Guerra Mondiale. L'Italia infatti era tra i pochi paesi europei a non avere un mausoleo dedicato alla figura di un eroe sublime e puro che racchiudesse in sè tute le migliori virtù del soldato italiano. Si arrivò così al 20 Agosto 1921, data nella quale il ministro della guerra, on. Gasparotto, emanò le prime disposizioni per la pianificazione ed organizzazione delle " solenni onoranze alla salma senza nome di un soldato caduto in combattimento alla fronte italiana nella guerra italo-austriaca 1915-1918". Il ministro dispose la costituzione di una commissione, presieduta dal Ten.Gen. Paolini (ispettore per le onoranze alle salme dei caduti) e della quale dovevano far parte il col. Paladini (capo ufficio dell'ispettorato stesso), un ufficiale superiore medico designato dall'ispettore e quattro ex combattenti (un ufficiale, un sottufficiale, un caporale e un soldato) designati dal sindaco di Udine. Circa l'esumazione della salma, le disposizioni prescrivevano che le ricerche dovessero essere effettuate nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: Monfalcone, S.Michele, Gorizia, Alto Isonzo, Cadore, Asiago, Pasubio, Tonale, Monte Grappa, Montello, Capo Sile, designando, per ciascuna zona, una salma di esumarsi alla presenza della commissione. Le salme dovevano essere collocate in bare di legno grezzo, di forma e dimensioni identiche, fatte allestire a Gorizia. Per ogni esumazione doveva redigersi un processo verbale per evidenziare tutte le cautele adottate. Le operazioni dovevano concludersi entro il 27 Ottobre e, per la stessa data, dovevano essere fatte giungere alla cattedrale di Aquileia; la cerimonia era fissata per il successivo giorno 28 e prevedeva, dopo la benedizione di tutte le salme, che la madre di un caduto non riconosciuto avrebbe designato la bara da prescegliere. Per questo triste compito fu designata una popolana di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio aveva disertato dall'esercito austriaco per arruolarsi volontario in quello italiano, cadendo in combattimento senza che il suo corpo fosse identificato. Al termine, la cassa con il " Milite Ignoto" doveva essere collocata in una cassa di zinco e quindi racchiusa in una bara speciale fatta allestire dal ministero della guerra ed inviata, per l'occasione, ad Aquileia. Quanto alle salme dei rimanenti dieci soldati ignoti veniva disposto che rimanessero fino al 4 Novembre nella cattedrale di Aquileia, vegliate da un picchetto d'onore e quindi tumulate, in forma solenne, nel cimitero retrostante la cattedrale stessa. Per il trasferimento a Roma del feretro, si dispose l'allestimento di un treno con in testa un carro speciale sul quale doveva essere collocato un affusto di cannone, e su questo la bara.

Il sindaco di Udine, cav. Luigi Spezzotti, in virtù della delega conferitagli dal ministro della guerra,designò quali membri della commissione presieduta dal te. gen. Paolini, il ten Tognasso cav.Augusto di Milano, mutilato con 36 ferite, il sergente Giuseppe de Carli di Tiezzo di Azzano, medaglia d'oro, il caporal maggiore Giuseppe Sartori di Zuliano, medaglia d'argento e medaglia di bronzo, il soldato Massimiliano Moro di santa Maria di Sclaunicco, medaglia d'argento. A latere di questi membri effettivi il sindaco designò quattro membri supplenti, col. Carlo Trivulzio e serg. Ivanoe Vaccaroni, entrambi di Udine, caporal maggiore Luigi Marano di Persearano e soldato Ludovica Duca di Pozzuolo, per assicurare l'ininterotto funzionamento della commisione. Per l'attuazione del compito, la commissione si riunì il 2 Ottobre nella sede dell'ufficio per le onoranze ai caduti in guerra a Udine (via Palladio, palazzo Caiselli).
Al termine della riunione, la commissione, attraverso il ponte della Priula, Bassano e percorrendo tutta la Val Sugana, giunse a Trento. Non avendo trovate salme insepolte sui monti circostanti Rovereto, la commissione decise di designare una delle salme dei soldati senza nome già tumulate in un cimitero di guerra trentino. Il lavoro di esumazione fu lungo e delicato. Agli occhi della commissione apparve un fante "in atto di tranquillo e sereno riposo", composto nella sua divisa e con indosso le giberne. Avvolto nel tricolore, i resti del caduto furono deposti entro una delle undici bare e il capo fu poggiato su un cuscino di rami di pino.
Attraverso il Pian delle Fugazze, e le Porte del Pasubio, la commissione raggiunse un grazioso cimitero allestito nelle vicinanze delle preesistenti trincee. Con le stesse modalità venne riesumata una salma che, su richiesta del sindaco di Schio, fu trasportata nella chiesa parrocchiale affinchè la cittadinanza potesse tributarle onori. In particolare gli onori di quelle spose che "...con il cuore straziato accarrezzavano con infinito amore le teste dei bimbi, che negli ochhi portavano l'immagine del padre defunto". Da Porte del Pasubio a Bassano. Qui le salme furono sistemate nella Casa del Soldato che per la circostanza venne trasformata in camera ardente.
Le ricerche successive furono compiute sulla'Altopiano di Asiago. La ricognizione del campo di battaglia rivelò l'esistenza di una croce seminascosta da una parete di roccia. Per la prima volta la commissione rinvenne i resti di un caduto sfuggiti alle pur capillari ricerche dei funzionari addetti alle onoranze dei caduti. I poveri resti erano completamente vestiti e il corpo avvolto in una mantellina quasi a proteggerlo dal deturpante contatto con la terra. L'uniforme ad una prima osservazione non rivelò segni atti all'identificazione ma, ad un più attento esame, evidenziarono la presenza di una piastrina cucita all'interno della giubba. Il tempo e le intemperie avevavno già iniziato l'opera di corrosione del metallo, tuttavia venne inviata ad un laboratorio per accertare se, con taluni processi chimici, fosse possibile deifrarne le scritte. Dietro un albero crivellato di colpi, un'altra croce e sotto di essa altri resti. L'esame la fece identificare come appartenente ad un soldato austriaco e poichè la morte non poteva creare barriere, ne venne tentata l'identificazione con la speranza che il ritrovamento potesse essere di conforto ad una madre. La ricerca fu inutile e i miseri resti furono inumati accanto ad altri caduti austriaci.

Un groviglio di filo spinato fece presumere che in origine fosse ststa allestita la difesa di un tratto di trincea probabilmente presidiato. In un crepaccio di roccia due cadaveri con a fianco le armi e nelle giberne ancora le cartucce. L'esame dei resti e delle uniformi non rivelò nessun elemento che potesse condurre alla loro identificazione. Alla sorte fu affidato il compito di designare quale delle due dovesse essere traslata ad Aquileia.
Il Grappa fu la successiva tappa. In una valletta fu rinvenuta una croce e la relativa salma non presentò segni di identificazione.
Sul Montello non venne rinvenuta nessuna salma essendo state tutte già recuperate e collocatein un cimitero di guerra. Venne perciò nuovamente affidato alla sorte il compito di desegnare una fossa tra quelle dei caduti senza nome già tumulati. Fu recuperata una cassa corrosa dal tempo e dalle intemperie. Il cadavere, pietosamente ricomposto nella bara di legno, fu trasportato, unitamente agli altri, a Conegliano. Qui vegliati dalla cittadinanza, trascorsero la notte in un piccolo antico tempio cittadino.
Nel Basso Piave ove fanti e marinai fianco a fianco operarono per la difesa dalle insidie provenienti dal mare, la commissione esumò una salma che raggiunse le altre in attesa nel tempietto di Conegliano.
Successiva meta della commissione: Udine. All'ingresso della città le bare furono collocate su affusti di cannone e, attraverso due ali di popolo, furono sistemate nel tempio della storica torre che, dall'alto del colle da cui si erge, domina tutta la città.
Successiva tappa della commissione fu l'Ampezzano, raggiunto da Tolmezzo attraverso il Passo della Mauria, Pieve di Cadore e Cortina. i campi di battaglia delle Tofane e del Falzarego furono ricogniti inutilmente. Il commissariato onoranze ai caduti aveva già fatto un ottimo lavoro di recupero e sepoltura.. Da un grazioso e pittoresco cimitero di guerra, costruito all'ombra degli abeti, fu esumata una nuova salma che, dopo la benedizione nella parrocchia di Cortina, raggiunse a Udine gli altri commilitoni.
Da Udine a Gorizia. Come anni prima fu ripercorsa dai caduti ignoti la strada che dalle retrovie portava alle località più avanzate del campo di battaglia. Le salme fecero il loro ingresso nella chiesa di Sant'Ignazio e lì ricevettero l'omaggio della popolazione e attesero l'arrivo dei nuovi compagni.
La commissione, risalendo l'Isonzo, raggiunse la cima del Rombon e, dopo lunghe ricerche, dietro una parete di roccia rinvenne una croce senza nome. Rimossa poca terra e pochi sassi, un cranio. si continuò a scavare nella direzione indicata dalla posizione del viso e apparvero subito le ossa disarticolate di un fante ancora rivestito della sua uniforme. nessun elemento lasciò pesumere una possibilità di identificazione. Era soltanto un soldato d'Italia. Pietosamente ricomposto, fu portato a Gorizia. Mancavano ancora tre salme per completare l'opera.
Le successive ricerche vennero condotte su quel colle che fu un vero calvario per i fanti: il Monte S.Michele. Alle falde del S.Marco fu rinvenuta una rozza croce di legno senza scritte e sotto di essa riposava sereno un fante che impugnava ancora la sua arma. nessun indizio per l'identificazione e una nuova bara andò ad aggiungersi alle altre già affidate alla pietà dei goriziani.
Castagnevizza fu la successiva tappa della commissione e proprio a Castagnevizza un palo di legno spezzato e del filo spinato suggerirono l'ipotesi dell'esistenza di resti sepolti sotto zolle di terra smossa perchè sottoposta a bombardamento. E mentre il maggiore medico Nicola Fabrizi procedeva alla ricomposizione dei poveri resti, ci si accorse delle diverse dimensione di due arti. Fu scavato ancora e venne alla luce la salma di un altro caduto. La chiesa di Sant'Ignazio accolse la nuova bara alla quale tributò fiori e riconoscenza.
Ultima tappa, il tratto di campo di battaglia da Castagnevizza al mare. Quale punto di riferimento fu preso il corso del Timavo. Le ricerche portarono alla scoperta di una croce di legno quasi completamente distrutta dal tempo e l'ultimo degli eroi senza nome fu traslato a Gorizia.

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